martedì 22 marzo 2011
Voglia di volare con Kiki's delivery service!
Nel 1989 Miyazaki, dopo aver già realizzato 3 lungometraggi con dei temi abbastanza complessi, decide sotto consiglio di Toshio Suzuki, di adattare per lo schermo cinematografico la favola di Eiko Kadono: Majo no Takkyûbi, un testo che Miyazaki ha definito «…un buon esempio di letteratura per l’infanzia, che descrive efficacemente il divario fra l’autonomia e dipendenza presente nelle speranze e nello spirito delle ragazzine giapponesi di oggi.» Nonostante l’apprezzamento, il regista cambiò l’approccio al romanzo rendendolo più articolato e problematico, infatti, Kiki diviene l’icona del passaggio dall’adolescenza all’età adulta, segnando il confronto con le responsabilità che ci accolgono lasciandoci sempre un po’ impreparati. Il regista torna ad affrontare temi strettamente legati alla società che lo circonda, volendo sottolineare il divario che esiste tra l’indipendenza economica, relativamente facile da conquistare in una società del benessere, e quella interiore, molto più ardua da raggiungere.
Kiki’s Delivery Service è un film sui dubbi e le incertezze che nascono nell’adolescenza, quando la personalità si definisce e i sogni iniziano a trasformarsi in progetti concreti per il futuro. Più che di conflitti esterni, il film racconta di una crescita interiore: la protagonista, infatti, si ritrova a doversi confrontare con individui e situazioni non familiari.
Il film ha come protagonista Kiki, una giovane streghetta, che col suo gatto nero Jiji si trasferisce in una nuova città per compiere il suo anno di apprendistato. Atterrata con la sua scopa di saggina a Koriko troverà ospitalità e lavoro da una coppia di fornai.Tra varie difficoltà farà molti incontri importanti, tra cui l’amico Tombo, che condivide con la streghetta la passione per il volo, e Ursula, una giovane pittrice che l’aiuterà in un momento di forte sconforto.
Il rito di passaggio non viene solamente intuito dalla trama del film, ma viene esplicitamente mostrato nelle sue tre fasi: separazione, messa a margine e riaggregazione. Fin dalle primissime immagini Miyazaki ci pone di fronte alla prima fase del rito proprio a sottolinearne l’importanza. La fase infantile di Kiki ,infatti, non viene affrontata, ma solo accennata attraverso il rapporto col padre. Un accenno malinconico che si esplica con il commento del padre, «Mi ricordi tanto tua madre alla tua età! Perchè non mi hai detto che saresti cresciuta così in fretta?», e con il gioco dell’aereoplanino, che Kiki chiede di fare a Okino, in ricordo di quando era piccola. Dopo le preparazioni Kiki si appresta alla separazione; come nei riti di passaggio delle civiltà non industrializzate, infatti, le streghe devono allontanarsi non solo dai parenti e dagli amici, ma anche dal luogo in cui sono cresciute, come a dare un taglio netto con la vita precedente. Kiki, cosi, inizia il suo viaggio che la porterà ad affrontare la parte più difficile di tutto il rito.
La seconda fase, quella della temporanea messa a margine, inizia nel momento in cui Kiki arriva nella città di Koriko .Fin da subito, la giovane streghetta si trova ad affrontare delle difficoltà, dagli incidenti stradali, all’incontro/scontro con la polizia, dalla difficoltà a trovare un posto per dormire, a quella economica. Sono prove a cui Kiki si deve sottoporre per superare il suo tirocinio. La ragazza deve entrare in territori altri ed affrontare la fatica e la solitudine, non solo,oltre ai problemi relativi alle responsabilità sociali Kiki si trova ad affrontare questioni esistenziali .La debolezza della sua determinazione e la leggerezza del suo atteggiamento è contrapposto alla prudenza del gatto Jiji e alla saggezza della panettiera Osono, che rappresentano per Kiki quei sacerdoti che ne riti di passaggio seguono e consigliano gli iniziandi. I primi problemi della streghetta vengono, infatti, risolti dal gatto e dalla panettiera: Osono troverà per lei sia la casa che il lavoro, mentre Jiji fa le veci di un grillo parlante che la conforta e la ammonisce. Arriva però il momento in cui questi due sacerdoti si allontanano, lasciando che Kiki affronti la fase più difficile con le sue sole forze. Diversamente dal racconto, Miyazaki sottopone la strega a una prova iniziatica: la perdita dei poteri . Questo cambiamento rispetto alla storia originale, è a mio parere necessario; Kiki fino a questo punto è una creatura liminare, sospesa tra infanzia ed età adulta, ed ha bisogno di perdere qualcosa per lei importante per spingerla a superare la soglia.La perdita della magia coincide con la scoperta di nuovi affetti e con la perdita di quelli vecchi: Kiki non riesce più a parlare con Jiji, ed inizia ad accettare l’amicizia con Tombo. Segue cosi una separazione dall’indipendenza sociale, raggiunta con il lavoro, per riuscire a ottenere quella psicologica. Kiki abbandona la città di Koriko, rifugiandosi nella casa nel bosco dell’amica Ursula, per affrontare la fase più difficile: la riconquista di se stessa. Sfogandosi con l’amica pittrice la streghetta scopre che anche Ursula ha attraversato un periodo di crisi creativa molto simile, nei sintomi e nelle conseguenze, all’improvvisa scomparsa dei suoi poteri. Ursula parlando a Kiki arriva ad accostare la pittura alla magia ed incita l’amica a coltivare un’inclinazione naturale che, come tutti i doni innati, ha bisogno di pratica e costanza per crescere e radicarsi. Per uscire dall’adolescenza e accedere alla maturità Kiki deve esplorare i limiti del suo talento. Anche la stessa Ursula è nel pieno di un rito di passaggio: la pittrice, infatti, si è isolata da tutto e da tutti per comprendere se stessa e la sua arte. A differenza di Kiki, però, lei è prossima al compimento; ha capito che il suo talento non è sufficiente senza la consapevolezza della propria identità personale. Una volta tornata in città Kiki ha imparato una lezione molto importante; non può fare affidamento su un potere trasmesso, sia esso magia o semplicemente il fatto di essere una persona, ma deve farlo suo, trovare la sua identità. L’aver solo capito questa verità, acquisita dolorosamente, le permette di riuscire a volare di nuovo, anche se goffamente,e salvare Tombo.
Miyazaki non ci fa vedere la fase finale del rito di passaggio, la riaggregazione, che avviene alla fine dell’anno di tirocinio di Kiki, preferisce metterci davanti alle continue conquiste che la streghetta acquista durante il suo rito di passaggio. La vediamo, infatti, integrata nella società non solo dal punto di vista lavorativo, ma anche da quello sociale. L’unica eccezione rimane il rapporto con il gatto Jiji. Kiki non parlerà più effettivamente con l’amico, del resto il rito comporta anche questo, una perdita effettiva, tuttavia comincerà a capire Jiji ugualmente senza che nessuno dei due venga meno alla sua specificità (anche se questo aspetto viene perso nella traduzione italiana).
“Con un tocco meravigliosamente leggero, il regista è riuscito a realizzare un apologo ottimista su un tema drammatico per incoraggiareil pubblico giovanile a vivere la responsabilità come una gioia.” A.Bencivenni
Bibliografia: Kiki consegne a domicilio di E.Kadono, Kappa Edizioni; The art of Kiki’s Delivery Service di H.Miyazaki, Tokuma; Hayao Miyazaki il dio dell’anime di A.Bencivenni, Le Mani; L’incanto del mondo. Il cinema di Hayao Miyazaki di A.Antonini, Il principe Costante; Volare non è la cosa più importante: Kiki’s delivery service di F.Filippi in e-Motion n°1 2002; Miyazaki e D’Alò: il passaggio dall’adolescenza all’età adulta di A.Gaglio in Tesi di laurea in storia e critica del cinema 2009/10.
Filmografia: Kiki consegne a domicilio (titolo internazionale Kiki’s Delivery Service), Giappone, 1989. Produttore: Hayao Miyazaki per Studio Ghibli, Toru Hara; Regia: Hayao Miyazaki; Soggetto: dal romanzo di E.Kadono Majo no Takkyûbi; Sceneggiatura: Hayao Miyazaki; Direzioni delle animazioni: Shinji Tsuka, Katsuya Kondo, Yoshifumi Kondo; Direzione Artistica: Hiroshi Ono, Katsuya Kondo; Montaggio: Takeshi Seyama; Musiche: Joe Hisashi; Durata: 102 min.; Distribuzione Giappone: Toey Company; Distribuzione Occidentale: Buena Vista Home Video.
giovedì 17 febbraio 2011
Mari Iyagi: il miracolo della Corea
Quando, nel 2002, al Festival International du Film D’Animation, il lungometraggio Mari Iyagi di Sung-Gang Lee, sbaragliando la concorrenza del Metropolis di Rintaro, ha fatto gridare alla nascita dell’animazione coreana, ha tratto in inganno i critici. Quest’industria cinematografica comincia, di fatto, negli anni Ottanta con un percorso molto particolare. Si può dire, infatti, che la Corea inizialmente non fosse interessata al mondo dei cartoni, ma solo ai soldi che questo faceva circolare. Nascono, così, i primi studi d’animazione basati sul servizio di sub-appalto. Questo sistema si basa sulla commissione di animazioni da parte di studi esterni che, per problemi di tempo o di denaro, non riescono a concludere il lavoro. Per l’animazione internazionale la Corea costituisce, dunque, la punta di diamante per i servizi di intercalazione soprattutto per il rapporto qualità-prezzo, ottenuto con forzati turni di lavoro e con stipendi molto bassi. Tutto questo è durato fino al 2000, quando questa lunga gavetta ha iniziato a dare i suoi frutti. Ecco perché con Mari Iyagi dobbiamo parlare di una ri-nascita del cinema d’animazione coreano.
Il film ha come protagonisti due amici d’infanzia,Nam-woo e Jun-ho, che si ritrovano dopo molti anni di separazione a Seul, quando ormai sono adulti. Durante le poche ore che passeranno insieme i due si ritroveranno a ricordare proprio l’ultima estate passata insieme, prima che Jun-ho si trasferisse.
Una delle caratteristiche che risalta sin da subito è il tema della “contrapposizione” che si riflette in tutti i livelli d’animazione compreso nella tecnica. Una contrapposizione continua tra città e campagna, presente e passato, realtà e fantasia, ma soprattutto tra infanzia ed età adulta. Nam-woo il protagonista, si ritrova proprio al passaggio tra queste due fasi d’età in un momento pieno di conflitti e insicurezze, alimentate da eventi che lo investono continuamente: la nonna malata, un nuovo padre da accettare e la partenza dell’unico amico fidato. Ed è proprio per far fronte a questa sua sensazione di vuoto e di dolore che crea un mondo fantastico e Mari, una figura misteriosa che nel film è sprovvista di vera natura. Un mondo visibilmente onirico e immaginario, ma che per “il ragazzo è qualcosa di comparabile alla religione. Nessuno intorno a lui crede che questi esseri esistano veramente, ma lui lo crede e, nella situazione in cui si trova, ha bisogno di crederlo. Lui ha fede[…]”. Dobbiamo però tener presente che tutto questo è un ricordo del Nam-woo adulto e che quindi il mondo immaginario non è visto con occhi innocenti (come Mei in Totoro), ma con una nostalgia tipica degli adulti che ricordano la loro infanzia. La nostalgia che nasce quando si ripensa a ciò che si è perso lungo la strada, affetti, oggetti, particolari che da bambini non avremmo notato. Ecco perché il linguaggio narrativo ci risulta in contrasto con il bambino che vediamo nello schermo, noi dobbiamo guardare con occhi adulti. Sarà poi la rottura della biglia, che conteneva il mondo di Mari, a sancire il passaggio definitivo all’età adulta, come a simboleggiare la sua crescita interiore e quindi la mancanza del bisogno di consolazione.
Da notare è il gatto Yeo che ricopre la figura di “tramite” tra mondo onirico e realtà. Un udito superfino, un olfatto prodigioso, una vista che funziona anche al buio, sono “strumenti” talmente sofisticati da permettere al gatto di “vedere” una realtà molto più ampia di quella che è alla nostra portata. Per questa ragione in molte culture ( e nel film) il gatto è sempre stato considerato un essere soprannaturale in grado di comunicare tra cielo e terra, tra il mondo dei vivi e quello dei morti, tra il mondo dei sogni e quello della realtà; un topos riprodotto molto spesso nel cinema.
Anche nella tecnica ritroviamo questa dualità; per tutto il film 2D e 3D si fondono abilmente creando un unico stile, grazie anche al lavoro di “appiattimento”, ottenuto con dei filtri, in post-produzione. L’assenza di bordi a ogni elemento e i colori tenui rendono l’immagine fluida, dandoci l’impressione che “la scena apparisse realistica e che contemporaneamente sembrasse uscita da un dipinto”.
Il film, uscito in Corea nel 2002, è stato presentato a molti festival; oltre al già citato Festival International du Film D’Animation in Francia possiamo ricordare il “Sitges Film Festival” in Spagna, il “Waterloo Festival for Animated Cinema” in Canada ed il “Bergen International Film Festival” in Norvegia ricevendo sempre critiche positive. Un film che racconta la nostalgia di un ragazzo, ma anche il sogno di un futuro per il cinema coreano.
Bibliografia: Corea: Il cartone è servito. di F.Filippi in e-Motion n°1 2002; Storia dell’animazione coreana di A.Greco in www.storiain.net ; My beautiful girl, Mari. La Corea alla conquista del mondo di G.Aicardi in e-Motion n°1 2002; intervista a Sung-Gang Lee ad Annecy di G.Russo; Recensione: My beautiful girl, Mari da Animation Italy in www.animeita.net.
Filmografia: Mari Iagy (Titolo internazionale My beautiful girl, Mari), Corea del Sud, 2001. Produzione: Siz Entertainment Co. Ltd, i Pictures Inc, Terasource Venture Capital Co. Ldt, Korean Film Commission; Regia: Sung-Gang Lee; Sceneggiatura: Soo-Jung Kang, Mi-Ae Seo, Sung-Gang Lee; Durata: 80 min.; Distribuzione: Cinema Service Co. Ltd; Musiche: Byeong-Woo Lee.
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