mercoledì 19 maggio 2010

L'anti-eroe diventa eroe-protagonista: Lupin III

Il 24 ottobre 1971 sul palinsesto televisivo nipponico fa la sua prima comparsa un'anime destinato a divenire un cult dell'animazione : Lupin III. Prima di iniziare ad analizzare questa serie animata, vorrei chiarire le definizioni di antagonista/protagonista e di eroe/anti-eroe.
Nel pensiero comune, infatti, si è instaurata la falsa convenzione che il binomio eroe/protagonista e anti-eroe/antagonista combacino perfettamente in ogni opera letteraria, cinematografica o televisiva. Ma questo non è sempre vero. L'antagonista, in una storia, può essere diegetico, extradiegetico o entrambi, non solo, può coincidere talvolta con l'eroe oppure con l 'anti-eroe. Per farvi capire meglio vi farò qualche esempio di antagonista nel film Batman e Batman- il ritorno di Tim Burton. Nel film Batman del 1989 il nemico dell’uomo pipistrello è Joker. In questo caso possiamo parlare di antagonista anti-eroe (in quanto Joker va effettivamente contro Batman) e antagonista diegetico (in quanto Joker è all’interno della scena ed è palpabile e reale). Nel film Batman- il ritorno del 1992, l’antagonista non è così semplice da individuare come nel primo caso. A prima vista potremmo dire che questo ruolo sia rappresentato da Pinguino. Ma è davvero cosi? Pinguino non è pazzo e cattivo per natura come lo era Joker, lo è diventato a causa del rifiuto, dell’odio e dell’emarginazione della società nei suoi confronti. In questo secondo caso il vero antagonista è la società di Gotham che non fa altro che produrre criminali, ed è quindi extra diegetico ovvero non percepibile dai 5 sensi. Il povero Pinguino non è che il risultato dell’odio, divenendo così solo anti-eroe e non l’antagonista di Batman. Ma torniamo a Lupin III. Nell’anime il senso comune viene completamente rovesciato e Lupin l’anti-eroe diviene il protagonista, mentre il povero ispettore Zenigata diviene l’antagonista-eroe. Un gran paradosso! Ma non è ancora finita, in Lupin, infatti, c’è una seconda analisi da affrontare. L’immagine del ladro gentiluomo non nasce con l’anime, ma si sviluppa in corso d’opera.
La prima serie, riconoscibile dalla giacca verde di Lupin, può essere divisa in due parti: la prima comprende le prime 6 puntate, la seconda le restanti 16. Non a caso il cambiamento coincide con l’abbandono del regista Masaaki Osumi e con l’assunzione di Hayao Miyazaki e Isao Takahata. Le prime sei puntate riprendevano molto il manga di Monkey Punch ( dal quale è tratto l’anime), ed erano quindi molti violente, cariche di allusioni sessuali e incentrate non tanto sull’ umorismo quanto su storie complesse. Il moderno Lupin riusciva, grazie alla sua astuzia e al suo talento nei travestimenti, a portare a termine i colpi più sensazionali e se qualcosa andava storto non esitava ad uccidere. Grande attenzione è stata data ai dettagli delle automobili, alle armi e agli oggetti di valore. Lupin era sì il protagonista, ma rappresentava decisamente l’antieroe dell’anime. Osumi e i suoi sceneggiatori avevano impostato la serie fino al 12° episodio, e alcuni episodi erano già entrati in fase di disegno. Quando Miyazaki e Takahata vengono chiamati per cambiare la serie, si trovano costretti a eliminare completamente circa 5 episodi, provocando una diaspora tra gli sceneggiatori. I due risistemano gli story-board a partire dal 6° episodio, intervenendo più sugli oggetti che sulla storia e i personaggi. Da simpatizzante marxista, Miyazaki non riesce a vedere Lupin alla guida della Mercedes Benz SSK del ’28 (posseduta anche da Hitler) così sostituisce l’auto con un’utilitari: la Citroen 2CV o la Fiat 500. Inoltre, da appassionato di volo e aerei non manca di inserire nelle puntate oggetti volanti di ogni genere. Dal 14° episodio si fa sempre più visibile l’intervento di Hayao. Il regista riesce a imprimere maggior grazia e un umorismo più fine, sublimando l’erotismo e stemperando la violenza del manga originario: il suo Lupin usa maggiormente l’astuzia e sempre meno le armi. Il protagonista perde, così, il suo aspetto anti-eroe negativo, divenendo un anti-eroe da ammirare.
La seconda serie, riconoscibile dalla giacca rossa di Lupin, porta avanti la strada aperta da Miyazaki. I registi, nella seconda serie sono molti e cambiano di puntata in puntata. Le storie sono prevalentemente caratterizzate da toni di commedia, d'azione e da un ritmo vivace non mancano tuttavia parentesi drammatiche, talvolta anche molto amare. Rispetto alla prima serie , c’è uno studio più approfondito sulla psicologia dei personaggi ed i loro ruoli sono fissati in modo più stabile, scivolando però talvolta nello stereotipo: Lupin è caratterizzato come una simpatica canaglia un po' buffona, che sa tirare fuori al momento adatto risorse imprevedibili, ma viene regolarmente ingannato da una Fujiko spregiudicata e calcolatrice; Jigen, di cui viene accentuato il carattere scontroso e riservato, e Goemon, saldamente ancorato all'antica morale dei samurai; Zenigata è presentato come goffo e ingenuo, puntualmente beffato da Lupin. Vengono inoltre più volte sottolineate le capacità fuori dal comune dei personaggi (l'abilità nei travestimenti di Lupin, la mira infallibile di Jigen, la facoltà di Goemon di tagliare ogni cosa con la sua spada), che, insieme al ricorso a elaborati stratagemmi e tecniche bizzarre, rendono spesso le loro imprese poco verosimili, ma al tempo stesso molto amate. Gli episodi sono di volta in volta ambientati in diversi paesi del mondo, e abbondano caricature di personaggi famosi, parodie e riferimenti storici, mitologici, letterali, teatrali, cinematografici e così via. Lupin, nonostante la sua infallibile maestria nel rubare, diviene sempre più simile a noi e il fatto che sia un ladro passa decisamente in secondo piano; il salto da anti-eroe a eroe ormai è avvenuto.
La terza serie, riconoscibile dalla giacca rosa di Lupin, compie una svolta controcorrente. L’anime torna a riprendere spunti dal manga, senza, però, riprenderne le intere vicende. Cambia anche lo stile che diventa più caricaturale e grottesco. Il carattere dei personaggi, però, non viene modificato. Purtroppo, dopo un ottimo avvio, la serie proseguirà in modo discontinuo, registrando soprattutto nella seconda metà numerose cadute qualitative sia nelle sceneggiature che nelle animazioni. In Italia questa serie è stata colpita in maniera massiccia da una censura diretta ad eliminare anche il più piccolo riferimento sessuale (ed in generale ciò che lo spietato occhio del censore ha giudicato degno di taglio). Il risultato è stato che alcuni episodi sono divenuti semplicemente incomprensibili .
Bibliografia: A. Bencivenni, Hayao Miyazaki. Il dio dell’anime, Le mani, Genova, 2003. http://www.droni.it/enrico/lupin/. http://www.lupinencyclopedia.com/. Sara Galletti, Il ruolo dell'antagonista nel cinema di Tim Burton, Tesi di laurea arti e scienze dello spettacolo La Sapienza, Roma, 2010

Per gli appassionati dei cartoon anni '70 '80 '90

Cari nostalgici, voglio postarvi un link di una pagina che si diverte a ricordare i vecchi cartoni della nostra infanzia in un modo un pò particolare! In questa pagina, il fondatore posta una volta al giorno 2 immagini prese da lungometraggi e serie animate, che dovranno essere indovinate con titolo esatto!

http://www.facebook.com/group.php?gid=307805564098&ref=ts

Mi raccomando partecipate!!!

lunedì 17 maggio 2010

La Gabbianella e il gatto e il problema d'identità 2



Locandina del film La gabbianella e il gatto.

La Gabbianella e il gatto e il problema d'identità

Nel 1998 Enzo D'Alò realizza il suo secondo lungometraggio tratto dal romanzo Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare di Luis Sepúlveda. La storia è nota a tutti: nella città di Amburgo il gatto Zorba trova nel suo giardino una gabbiana morente, Kengah, che le fa promettere di non mangiare l'uovo che deporrà con le sue ultime forze, che lo coverà e che insegnerà a volare al cucciolo che nascerà. La scelta di un testo letterario piuttosto che creare un soggetto originale con gli stessi temi, denota l'importanza e l'esigenza di raccontare una storia che sia patrimonio culturale, ecco perchè D'Alò compie questa scelta; una decisione per niente semplicistica, se si pensa al fatto che si deve soddisfare uno spettatore che ha già letto il libro e che ha già immaginato personaggi e ambientazioni. La gabbianella e il gatto ha diverse chiavi di lettura, solitamente parlando del film si tende a riflettere sull'amore e sul rispetto per la natura (intesa e vista quasi in senso animistico), sul senso di solidarietà e sul rispeeto per l'altro. Questo film però riesce a farsi carico anche di un messaggio più complesso: la mancanza dei riti nella nostra società e la dolorosa conseguenza ovvero la scomparsa dell'identità personale.
D'Alò ha cercato di rimanere il più fedele possibile al testo letterario e le poche modifiche che possiamo trovare sono dovute alla trasposizione dal libro al film. Tra queste è importante sottolineare l'identificazione del ruolo del cattivo che nel libro era assente: il Grande Topo e la sua banda. Questo cambiamento è necessario per inserire una riflessione molto importante; attraverso la contrapposizione della banda dei topi con quella dei gatti si vuole mostrare che il "gruppo" può essere un'esperienza positiva, solo nel momento in cui ogni componente mantiene la propria identità, i propri punti di vista, i propri pensieri. Il gruppo dei gatti deve prorpio a questo la sua forza: non esiste un leader e tanti gregari, ma piuttosto tante anime che riescono a risolvere problemi e a uscire da situazioni complicate, perchè possono contare sulla forza data dalla collaborazione, ma anche perchè ciascuno di loro ha conoscenze, idee, modi di fare diversi e può perciò fornire al gruppo un proprio singolare, unico e prezioso aiuto.
Il film inizia nella classica tradizione favolistica presentantando i personaggi della storia. Dapprima incontraiamo la tribù anonima, indistinta e omologata dei topi in cui tutti sono mimeticamente uguali, successivamente ci vengono mostrati i gatti del porto. E' interessante notare la rappresentazione dei gatti, D'Alò, infatti, non ha voluto ricalcare l'antropomorfismo tipico dell'universo disneyano, i gatti non sono bipedi, non indossano abiti umani, ne scimmiottano il comportamento umano. Il regista ha preferito rappresentarli zoomorficamente, contrapponendone un'antropomorfizzazione dei sentimenti: tanto più gli animali sono diversi da noi nell'aspetto fisico, tanto più ci assomigliano nel sentire. Vissuti, emozioni e sensazioni acquistano così una valenza universale e forniscono il terreno ideale per innescare nello spettatore processi di identificazione, proiezione, immedesimazione. Aspetto molto importante considerando che il film vuole stimolare lo spettatore a riflettere sull'identità e la diversità. I gatti vengono, quindi, caratterizzati: Pallino, il gattino, incarna la curiosità, l'imprudenza e l'irriverenza tipica dei bambini; Diderot e Segretario incarnano la tipologia degli adulti più riflessivi e prudenti; Colonnello, il gatto più anziano, è il nonno saggio della situazione; infine, Zorba che dovrebbe rappresentare l'umano ideale, quello dal buon cuore, altruista e rispettoso. Con la presentazione di Kengah ci vengono fatti conoscere i riti dei gabbiani. Sappiamo, infatti, che i cuccioli di gabbiano vengono considerati adolescenti nel momento in cui lasciano per l prima volta il nido, e adulti solo dopo il primo anno di migrazione (considerato rito di passaggio). Kengah sta tornando dal suo priomo anno di migrazione è considerata un'adulta e deporrà il suo primo uovo. Purtroppo la gabbiana non riesce a completare il suo viaggio, a causa del petrolio che la sporca avvelenandola, lasciando il suo uovo al gatto Zorba. Da questo momento in poi il tema della mancanza del rito di passaggio e della crisi d'identità che ne consegue diventano fulcro del film. Fortunata, la gabbianella nata dall'uovo, non potendo crescere nella sua società arriva a perdere la propria identità culturale: crescendo con Zorba, Fifi è convinta di essere un gatto, perdendo così la sua specificità. A nulla valgono i tentativi dei gatti di far riconoscera la sua vera natura alla gabbianella, neppure il tentativo di cercare un nome da gabbiano e non da gatto. La ricerca del nome, inoltre, è molto importante in quanto permette alla gabbianella di entrare ufficialmente in una società e di essere riconosciuta non più come individuo, ma come persona. Sarà Pallino, in una scena ben risolta, a far scattare nella gabbianella il percorso di conquista della conoscenza di sè e della presa d'atto, traumatica, dolorosa, ma necessaria, della propria diversità. Fortunata, impaurita e confusa, vaga per la città cercando una risposta sulla sua identità, risposta che le darà Zorba dopo la brutta avventura con i topi: finalmente allo specchio Fifi riconosce sè stessa e la propria identità culturale. Come gli adolescenti di oggi, però, si ritrova a questo punto senza un'educazione familiare di accompagnamento nell'adolescenza, senza riti di passaggio, senza dei mentori che le insegnino la vita e che le diano un ruolo nella società, ed inizia per lei un periodo di sofferenza. Il volo acquista così un valore simbolico: una meta dolorosa da raggiungere, per dare inizio a un percorso che porterà la gabbianella a reintegrarsi nella sua vera società e a partire per il suo viaggio iniziatico, al ritorno del quale sarà considerata una gabbiana adulta. D'Alò non ci mette direttamente in scena il rito di passaggio, non ci fa vedere cosa succede in quel anno di migrazione, ma ci fa capire quanti disagi provochi la mancanza di un rito che sancisce la crescita nella nostra società. L'importanza del rito e della conquista di una propria identità viene sottolineata da una scena molto particolare, nella quale D'Alò sceglie di cambiare registro grafico. E' la scena in cui la gabbiana Kengah canta una canzone d'addio alla figlia, mostrandoci le difficoltà che la gabbianella dovrà affrontare, ovvero, la ricerca della propria identità, con le immagini che mostrano Fortunata miagolare, e la capacità di volare. E' interessante notare come la sintesi di questa sequenza venga riproposta nel momento in cui la gabbianella riesce a spiccare il volo, come espediente che vuole alludere ed evocare il difficile percorso affrontato e la conquista che porterà all'identità tanto agognata. Il film si conclude ciclicamente con un abbandono, stavolta necessario per poter crescere.

Bibliografia: Van Gennep, i riti di passaggio, Boringhieri, Torino,1981; Sabrina Perucca, il cinema d'animazione italiano oggi, Bulzoni, Roma, 2008; Luis sepulveda; storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, Ugo Guanda editore, Parma, 2002.

Filmografia: La gabbianella e il gatto Italia 1998, regia di Enzo D'Alò, sceneggiatura di Enzo D'Alò e Umberto Marino, realizzato dallo studio italiano Lanterna magica; Produzioni Cecchi Gori.

Per iniziare una breve presentazione del blog...

Il cinema d'animazione è un mondo fantastico dove ogni cosa può essere possibile... Molto spesso però, affianchiamo l'idea dei cartoni animati al mondo dei bambini, dimenticandoci che si tratta in realtà di un genere cinematografico vero e proprio rivolto a tutte le età; questo perchè, proprio per sua natura, il linguaggio dell'animazione è estremamente duttile grazie alle infinite tecniche che si possono adottare, tramutandosi in uno specchio della realtà e delle emozioni. Del resto fin dall'antichità le immagini hanno rappresentato un'espressione dei dati primari della mente, traducendo molteplici tipi di linguaggi: da quello dei sogni a quello dei miti. Allora chi se non l'animazione al giorno d'oggi può farsi carico di emozioni, miti, riti, filosofia e quant'altro?
Scrivendo la mia tesi ho dovuto, purtroppo, combattere con la mancanza di testi sull'argomento. Del resto l'animazione per senso comune è Disney o serie nipponica con robot e violenza. Niente di più sbagliato! Allora mi son detta: perchè non creare un blog dove scrivere sull'argomento? Magari posso aiutare altri studenti nella mia stessa condizione, magari intrattenere appassionati oppure trovare il modo, nel mio piccolo, di far conoscere ed amare questo genere a più persone. Nel mio blog parlerò un pò di tutto: dalle produzioni americane a quelle nipponiche, passando per quelle italiane, canadesi ed africane! Tutto questo per mostrarvi l'incanto del mondo dell'animazione!