lunedì 17 maggio 2010

La Gabbianella e il gatto e il problema d'identità

Nel 1998 Enzo D'Alò realizza il suo secondo lungometraggio tratto dal romanzo Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare di Luis Sepúlveda. La storia è nota a tutti: nella città di Amburgo il gatto Zorba trova nel suo giardino una gabbiana morente, Kengah, che le fa promettere di non mangiare l'uovo che deporrà con le sue ultime forze, che lo coverà e che insegnerà a volare al cucciolo che nascerà. La scelta di un testo letterario piuttosto che creare un soggetto originale con gli stessi temi, denota l'importanza e l'esigenza di raccontare una storia che sia patrimonio culturale, ecco perchè D'Alò compie questa scelta; una decisione per niente semplicistica, se si pensa al fatto che si deve soddisfare uno spettatore che ha già letto il libro e che ha già immaginato personaggi e ambientazioni. La gabbianella e il gatto ha diverse chiavi di lettura, solitamente parlando del film si tende a riflettere sull'amore e sul rispetto per la natura (intesa e vista quasi in senso animistico), sul senso di solidarietà e sul rispeeto per l'altro. Questo film però riesce a farsi carico anche di un messaggio più complesso: la mancanza dei riti nella nostra società e la dolorosa conseguenza ovvero la scomparsa dell'identità personale.
D'Alò ha cercato di rimanere il più fedele possibile al testo letterario e le poche modifiche che possiamo trovare sono dovute alla trasposizione dal libro al film. Tra queste è importante sottolineare l'identificazione del ruolo del cattivo che nel libro era assente: il Grande Topo e la sua banda. Questo cambiamento è necessario per inserire una riflessione molto importante; attraverso la contrapposizione della banda dei topi con quella dei gatti si vuole mostrare che il "gruppo" può essere un'esperienza positiva, solo nel momento in cui ogni componente mantiene la propria identità, i propri punti di vista, i propri pensieri. Il gruppo dei gatti deve prorpio a questo la sua forza: non esiste un leader e tanti gregari, ma piuttosto tante anime che riescono a risolvere problemi e a uscire da situazioni complicate, perchè possono contare sulla forza data dalla collaborazione, ma anche perchè ciascuno di loro ha conoscenze, idee, modi di fare diversi e può perciò fornire al gruppo un proprio singolare, unico e prezioso aiuto.
Il film inizia nella classica tradizione favolistica presentantando i personaggi della storia. Dapprima incontraiamo la tribù anonima, indistinta e omologata dei topi in cui tutti sono mimeticamente uguali, successivamente ci vengono mostrati i gatti del porto. E' interessante notare la rappresentazione dei gatti, D'Alò, infatti, non ha voluto ricalcare l'antropomorfismo tipico dell'universo disneyano, i gatti non sono bipedi, non indossano abiti umani, ne scimmiottano il comportamento umano. Il regista ha preferito rappresentarli zoomorficamente, contrapponendone un'antropomorfizzazione dei sentimenti: tanto più gli animali sono diversi da noi nell'aspetto fisico, tanto più ci assomigliano nel sentire. Vissuti, emozioni e sensazioni acquistano così una valenza universale e forniscono il terreno ideale per innescare nello spettatore processi di identificazione, proiezione, immedesimazione. Aspetto molto importante considerando che il film vuole stimolare lo spettatore a riflettere sull'identità e la diversità. I gatti vengono, quindi, caratterizzati: Pallino, il gattino, incarna la curiosità, l'imprudenza e l'irriverenza tipica dei bambini; Diderot e Segretario incarnano la tipologia degli adulti più riflessivi e prudenti; Colonnello, il gatto più anziano, è il nonno saggio della situazione; infine, Zorba che dovrebbe rappresentare l'umano ideale, quello dal buon cuore, altruista e rispettoso. Con la presentazione di Kengah ci vengono fatti conoscere i riti dei gabbiani. Sappiamo, infatti, che i cuccioli di gabbiano vengono considerati adolescenti nel momento in cui lasciano per l prima volta il nido, e adulti solo dopo il primo anno di migrazione (considerato rito di passaggio). Kengah sta tornando dal suo priomo anno di migrazione è considerata un'adulta e deporrà il suo primo uovo. Purtroppo la gabbiana non riesce a completare il suo viaggio, a causa del petrolio che la sporca avvelenandola, lasciando il suo uovo al gatto Zorba. Da questo momento in poi il tema della mancanza del rito di passaggio e della crisi d'identità che ne consegue diventano fulcro del film. Fortunata, la gabbianella nata dall'uovo, non potendo crescere nella sua società arriva a perdere la propria identità culturale: crescendo con Zorba, Fifi è convinta di essere un gatto, perdendo così la sua specificità. A nulla valgono i tentativi dei gatti di far riconoscera la sua vera natura alla gabbianella, neppure il tentativo di cercare un nome da gabbiano e non da gatto. La ricerca del nome, inoltre, è molto importante in quanto permette alla gabbianella di entrare ufficialmente in una società e di essere riconosciuta non più come individuo, ma come persona. Sarà Pallino, in una scena ben risolta, a far scattare nella gabbianella il percorso di conquista della conoscenza di sè e della presa d'atto, traumatica, dolorosa, ma necessaria, della propria diversità. Fortunata, impaurita e confusa, vaga per la città cercando una risposta sulla sua identità, risposta che le darà Zorba dopo la brutta avventura con i topi: finalmente allo specchio Fifi riconosce sè stessa e la propria identità culturale. Come gli adolescenti di oggi, però, si ritrova a questo punto senza un'educazione familiare di accompagnamento nell'adolescenza, senza riti di passaggio, senza dei mentori che le insegnino la vita e che le diano un ruolo nella società, ed inizia per lei un periodo di sofferenza. Il volo acquista così un valore simbolico: una meta dolorosa da raggiungere, per dare inizio a un percorso che porterà la gabbianella a reintegrarsi nella sua vera società e a partire per il suo viaggio iniziatico, al ritorno del quale sarà considerata una gabbiana adulta. D'Alò non ci mette direttamente in scena il rito di passaggio, non ci fa vedere cosa succede in quel anno di migrazione, ma ci fa capire quanti disagi provochi la mancanza di un rito che sancisce la crescita nella nostra società. L'importanza del rito e della conquista di una propria identità viene sottolineata da una scena molto particolare, nella quale D'Alò sceglie di cambiare registro grafico. E' la scena in cui la gabbiana Kengah canta una canzone d'addio alla figlia, mostrandoci le difficoltà che la gabbianella dovrà affrontare, ovvero, la ricerca della propria identità, con le immagini che mostrano Fortunata miagolare, e la capacità di volare. E' interessante notare come la sintesi di questa sequenza venga riproposta nel momento in cui la gabbianella riesce a spiccare il volo, come espediente che vuole alludere ed evocare il difficile percorso affrontato e la conquista che porterà all'identità tanto agognata. Il film si conclude ciclicamente con un abbandono, stavolta necessario per poter crescere.

Bibliografia: Van Gennep, i riti di passaggio, Boringhieri, Torino,1981; Sabrina Perucca, il cinema d'animazione italiano oggi, Bulzoni, Roma, 2008; Luis sepulveda; storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, Ugo Guanda editore, Parma, 2002.

Filmografia: La gabbianella e il gatto Italia 1998, regia di Enzo D'Alò, sceneggiatura di Enzo D'Alò e Umberto Marino, realizzato dallo studio italiano Lanterna magica; Produzioni Cecchi Gori.

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